venerdì 7 gennaio 2011




CAPITOLO VI

Alexis varcò la soglia del locale con passo deciso e sicuro, l’interno era scuro e fumoso e odorava di legno, sudore stantio e birra. Si abbassò il cappuccio del mantello, la lunga treccia bionda faceva capolino da dietro le sue spalle, se la sistemò con un gesto rapido e, lasciando che gli ondeggiasse mollemente lungo la schiena, si guardo subito intorno in cerca dell’uomo   con cui aveva appuntamento. Sulle prime non lo vide a causa del velo caliginoso che aleggiava tutt’intorno, poi però, seduto proprio in fondo, dove la luce tenue delle candele quasi non arrivava, s’avvide di una figura ammantata di nero, con un copricapo del medesimo colore calato in testa. Essendo al chiuso, un uomo col volto semi nascosto da un cappello a tesa larga saltava piuttosto all’occhio, ragion per cui dedusse subito che dovesse trattarsi proprio del suo informatore. Se quello era il suo modo di passare inosservato, aveva ottenuto esattamente l’effetto contrario. Era forse quello che, tra gli altri, spiccava di più.
- Usciamo di qui – l’intimò raggiungendolo. Non si era né seduto né presentato, né tanto meno aveva chiesto conferma della sua intuizione. Ne era semplicemente sicuro e poiché temeva che se si fossero messi a conversare al tavolo sarebbero sorti problemi, optò per un approccio molto rapido e diretto. 
– Muoviti – aggiunse poi vedendo che l'altro lo ignorava.
L’ometto, basso e tarchiato alzò la testa – E se non lo facessi? – replicò con una vocina sottile, nasale e irritante - Stò aspettando un amico sai? Un amico pagante –
- Ti pago a suon di calci nelle terga se non le alzi immediatamente da quella sedia – ribattè l’altro a denti stretti, il tono freddo e tagliente come una lama affilata.
Il piccolo uomo balzò in piedi spaventato – Siete voi! – esclamò gli occhi sgranati per lo sgomento – Non lo sapevo, non vi ho riconosciuto –
- Tutto il locale invece sa chi siete voi... – rispose soppesandolo da capo a piedi, un sopracciglio inarcato a sottolineare l’ironia di cui era carica la sua affermazione. 
Senza capire le parole di Alexis, l’ometto si gettò letteralmente ai suoi piedi. La paura di non venir davvero pagato e di esser preso a calci aveva preso il sopravvento – Perdonatemi, perdonatemi – lo supplicò allungando le mani per toccarlo, ma il mangiamorte si tirò da parte con destrezza e questi, mancatogli d'improvviso l’appoggio, cadde lungo disteso sul pavimento. Nel vedere la scena del piccoletto rantolante al suolo come uno bacarozzo agonizzante, Alexis sospirò e alzò gli occhi al cielo – Farai bene ad avere informazioni buone, altrimenti giuro che ti schiaccio come l’insetto ignobile che sei – disse dall’alto al basso – E ora muoviti, e fallo davvero, sto perdendo la pazienza –
- Si mio signore, si si – mugugnò l’altro rialzandosi. Barcollando si diresse verso la porta sul retro, afferrò la maniglia con le manine sudicie e grassocce, e l’aprì. Alexis, dietro di lui, con sul volto un espressione di visibile disgusto, lo seguì.
- Dimmi quello che sai – gli ordinò senza troppi preamboli – Chi voleva uccidere Ethan Lockwood? -
- Un certo Marchard, Signore – rispose questi senza indugio e le pupille di Alexis si dilatarono leggermente all’udire il nome del fratello. Avrebbe dovuto immaginarlo dopotutto, che dietro a quello scellerato attacco c’era lui.
- Lo conoscete mio Signore? – domandò l’ometto che dalla reazione dell’altro, seppur velata, sperava di ricavarne una nuova fonte di informazioni.
- No – il biondo Mangiamorte fu rapido e conciso, aveva ben inteso le intenzioni dell’omino, ed evitò accuratamente di aggiungere anche una sola sillaba in più – Dove posso trovare questo…  Marchard? – chiese infine facendo finta di nulla.
- Non lo so Signore. Pare sia sparito nel nulla - disse tutto d’un fiato, il naso adunco puntato in sù, verso Alexis, che invece si limitò ad annuire pensieroso, il volto rivolto in tutt’altra direzione. 
- Sa, lo stavo cercando anche io in verità… - aggiunse poi l’ometto con fare falsamente disinvolto.
- Ma davvero? - Alexis si girò verso l’informatore con rinnovato interesse – E cosa ti spinge a cercare un assassino? – chiese quindi, gli occhi animati da una strana e nuova scintilla.
- Oh, non credo sia lo stesso vostro, Signore – si giustificò spalancando i piccoli occhietti acquosi – Sa, quel Marchard mi deve dei soldi… -
- Dei soldi? – l’uomo, sul momento, rimase sorpreso, non era da Yvel avere dei debiti. Ma si trattò solo di pochi istanti perché la deduzione logica dell’accaduto non tardò ad arrivare – Tu! – esclamò d’improvviso - Sei stato tu a indirizzare Lockwood verso la trappola –
- Si, sono stato proprio io – confermò strofinandosi compiaciuto le piccole mani ossute.
- Furitum! – sibilò sferzando nell’aria la bacchetta come fosse una frusta, e l’informatore, da uomo qual era, d’un tratto, si tramutò in furetto. La bestiola, terrorizzata, saltò su se stessa, si contorse due o tre volte per poi imboccare il vicolo laterale fuggendo via in preda al panico. 
- Così non potrai più far danni – concluse Alexis rinfoderando la bacchetta e ritornando dentro il locale.
Una volta all’interno, il Mangiamorte prese posto al bancone e ordinò qualcosa di forte da bere.  Quasi subito, una donna appariscente e poco vestita gli venne vicino, ma lui, che non era venuto al locale per divertirsi, la scacciò via senza troppe riserve.
- Non stasera – le disse facendole segno di andarsene. Il barista intanto gli aveva allungato il bicchiere di whiskey che aveva richiesto, e nel rigirarsi il liquido ambrato tra le mani, Alexis tornò ad immergersi nei suoi pensieri. Quello che aveva saputo cambiava tutto. Spiegava l’assenza tanto prolungata del fratello da casa ma non come mai avesse agito in modo tanto assurdo e sconsiderato. Si domandò cosa Yvel avrebbe potuto ottenere uccidendo Ethan... forse voleva Chantal... no, si rispose, perché in questo caso si sarebbe già mosso senza perdere tempo ulteriore, senza dar modo al rivale di riprendersi dall'attacco... no, se era ferito! Se così fosse stato, infatti, avrebbe dovuto curarsi e aspettare un po’ di tempo prima di agire. Ma nemmeno questo aveva senso in realtà... perché per quanto Ethan rappresentasse un fastidio per l'Oscuro Signore, nessuno dei Mangiamorte aveva ricevuto l'ordine di eliminarlo, ne tantomeno gli era stato detto di mirare alla donna. E allora perché? Perchè attirarlo al limitare della città e attaccarlo? Con quale scopo? Ma soprattutto, e questa era la cosa che lo preoccupava di più, perché suo fratello stava agendo in modo completamente indipendente?
In quel mentre, accanto a lui avevano preso posto due uomini che avevano intrapreso tra loro una fitta conversazione. Volenti o nolenti, le chiacchiere concitate dei due nuovi avventori arrivarono alle orecchie di Alexis che, per quanto cercasse di non prestare attenzione e di rimanere concentrato nei propri pensieri, si ritrovò involontariamente ad ascoltare.
- Hai sentito dei Whittaker? – domandò il primo uomo visibilmente agitato. I radi capelli bianchi gli stavano ritti sul capo come spilli trasparenti lasciando intravedere ampie porzioni di cuoio capelluto roseo solcato, a sua volta, da migliaia di minuscole goccioline di sudore. Si passò distrattamente una mano sulla testa e le goccioline sparirono lasciando il posto a una distesa di pelle lucida e arrossata dal calore.
- No. Li hanno forse incarcerati entrambi questa volta? – chiese il secondo sporgendosi avanti per sentire meglio. Era più alto del compagno e apparentemente sembrava molto più giovane, ma il tono di voce, arrochito da anni di fumo, e le rughe profonde, che gli attraversavano simmetricamente il viso da parte a parte, tradivano la sua vera età. I capelli erano rossi, scompigliati e sporchi.
- La moglie di Aaron è sparita nel nulla - spiegò lesto l'uomo canuto tralasciando volontariamente l'accenno dell'altro - Lui è uscito per una battuta di caccia, è rimasto fuori di casa due giorni, e quando è tornato lei non c'era più -
- Non è sua moglie - lo corresse subito il rosso - Non sono sposati - 
- Vivono insieme però, questo fa di loro una coppia - replicò asciutto l'altro.
- Non sono sposati, quella donna non è sua moglie - insisté il secondo con decisione - Forse l'hanno arrestata di nuovo - suggerì poi socchiudendo un poco gli occhi.
- No, è semplicemente sparita - incalzò il primo, sottolineando la gravità della cosa con un gesto secco della mano - Non l'hanno arrestata, l'avrei saputo, lavoro da quelle parti, io! -
- E allora se ne sarà andata via, dopotutto non erano sposati - tagliò corto l'altro, ribadendo ancora una volta la sua opinione secondo la quale non essendo legati da vincolo matrimoniale, i due potevano agire come meglio credevano, andandosene anche, se lo ritenevano opportuno. Ma l'amico non era d'accordo e dopo aver disquisito a lungo su chi di loro avesse o meno ragione, conclusero che se la ragazza non era scappata forse era stata rapita, o forse, dati i precedenti, era stata nuovamente arrestata.
Per Alexis comunque fu sufficiente ascoltare poche frasi per avere chiara la situazione. All'udire il nome dei Whittaker infatti, si ricordò di un fatto accaduto durante la serata al Teatro dell'Opera al quale, sul momento, aveva dato scarsa importanza ma che, alla luce dei fatti, forse aveva una rilevanza cruciale. Nel farsi strada verso i palchi con la sua dama, aveva scorto involontariamente suo fratello fissare con insistenza e in modo totalmente inopportuno una donna, una donna che apparteneva ad un altro uomo. Nonostante quel particolare atteggiamento di Yvel gli avesse fatto presagire problemi incipienti, Alexis preferì voltarsi dall'altra parte e far finta di niente. Ma quando la medesima donna, insieme ad altre, venne presa ed imprigionata per ordine dell'Oscuro Signore sotto gli occhi impotenti di quello che doveva essere il marito, Alexis aveva erroneamente desunto che lo strano comportamento tenuto da suo fratello nei confronti della ragazza, fosse legato all'arresto che sarebbe dovuto avvenire di lì a poco e nient'altro. Si sbagliava. E avrebbe fatto meglio, probabilmente, a intervenire quando ne aveva avuto l'opportunità. Adesso avrebbe dovuto porre rimedio al caos che Yvel, ancora una volta, aveva creato, e davvero non ne aveva voglia.
Così, pur non volendo, Alexis si costrinse ad alzarsi e, dopo aver pagato per quanto aveva consumato, imboccò la porta ed uscì. L'aria fresca della notte gli diede immediatamente una vigorosa sferzata di energia cancellando, almeno per il momento, il torpore che l'alcol e l'ambiente caldo gli avevano procurato. Mosse qualche passo verso una direzione imprecisata, indeciso su come avrebbe dovuto agire per scovare il fratello e sistemare le cose nel modo più discreto possibile quando, nel vedere un insetto agitarsi in una pozza d'acqua, ebbe un'intuizione improvvisa: sapeva dove si trovava Yvel.  


lunedì 3 gennaio 2011

CAPITOLO V


Raven era disteso sul letto della sua camera e osservava pensieroso il cielo oltre i drappeggi vermigli che ornavano l’unica grande finestra della stanza. La sua mente vagava e il suo cuore batteva forte, a minuti avrebbe rivisto il volto di Chantal, e il solo fatto che la donna stesse bene lo riempiva di gioia e sollievo. Sul volto portava ancora la maschera di madreperla, ornamento quello da cui non si separava mai, e, proprio in virtù del fatto che la sua amata sarebbe giunta da lì a poco, Raven, aveva indossato una giacca da camera nera discretamente elegante con i risvolti di velluto sui polsini e i bottoni d’argento. Vista l’occasione inoltre, e dato che in quel particolare frangente non aveva addosso il mantello con cappuccio, l’uomo aveva anche cercato di sistemarsi alla bene meglio i capelli, corti e scuri, che ora gli stavano ritti e scarmigliati, sulla testa.
Frattanto Alexis, che era andato a svegliare Chantal, stava già ridiscendendo le scale con la medesima. Giunto dinnanzi alla porta della stanza dell’amico bussò.
– Ethan? – domandò – Siamo noi, stiamo entrando –
Dall’altro lato del battente, una voce maschile rispose tossicchiando piano.
La donna scostò piano l'uscio e vi si aggrappò stremata, le gambe le tremavano forte.
- Finalmente ti sei svegliato! - esclamò mentre calde lacrime di gioia le scendevano lungo le guance. Incurante dell'abbigliamento dell'uomo e della presenza di Alexis, Chantal corse ad abbracciare il ribelle piangendo come una bambina.
Preso alla sprovvista, Raven non riuscì subito a ricambiare totalmente l’abbraccio di Chantal ma rimase per qualche secondo immobile e interdetto. Quando però s’avvide che la donna stava piangendo, si riscosse e la cinse a sua volta con trasporto.
- Non piangere – le disse, il tono dolce e rassicurante – Non ce n’è motivo –
Alexis, dal canto suo, si era appoggiato allo stipite della porta per gustarsi la scena in tutta tranquillità. Sul volto un'espressione divertita.
- Lo so ma non riesco a smettere - rispose singhiozzando la giovane - Ho avuto così tanta paura di perderti... - continuò stringendosi sempre più forte a lui.
L’uomo sorrise – Ammetto che per un momento l’avevo pensato anche io… ma a quanto pare ci siamo sbagliati entrambi! -
- Per fortuna, oserei dire - la ragazza smise di piangere - Scusami. Avevo promesso che non avrei pianto, ma non sono riuscita a trattenermi - disse accennando un sorriso mentre con il dorso della mano si asciugò il viso arrossato.
- Ethan, sai chi ti ha fatto questo? - domandò curiosa.
- Ethan? - l'uomo era sorpreso. Non si ricordava d'aver detto a Chantal il suo nome e sentirglielo pronunciare, oltre che coglierlo di sorpresa, gli fece un certo effetto. Poi guardò oltre e capì - A quanto pare Alexis si è dato alle chiacchiere mentre ero privo di sensi - si lamentò quindi rivolgendosi del tutto all’amico.
- Ti ho chiamato in quel modo anche quando ho bussato… - lo informò il biondo incrociando le braccia al petto – O forse non mi hai sentito? –
- Certo che ti ho sentito, ed è per questo che non ti ho risposto… -
- E’ troppo tardi per recriminare vecchio mio – tagliò corto l’altro – Dicci piuttosto chi ti ha attaccato –
Raven abbassò il viso – Non l’ho visto in faccia – mentì cercando di mantenere il tono di voce il più neutrale possibile. Non voleva che Alexis sapesse che proprio il fratello aveva cercato di ucciderlo. Non lo giustificava, certo, ma non poteva permettere che i due lottassero di nuovo, e a causa sua per giunta. Per cui tacque e quando le domande dell'altro si fecero più insistenti e incalzanti, si limitò a ripetere quanto aveva detto poco prima.
- Ti dico, e lo faccio per l'ennesima volta, che non ho idea di chi fosse, non l'ho visto - riaffermò ancora, senza però riuscire a volgere per intero lo sguardo verso Alexis.
- Indossava una maschera, è questo che intendi? - domandò quindi l'altro, abbandonando il suo posto accanto alla porta e facendosi avanti di qualche passo, gli occhi socchiusi mentre, pensoso, si accarezzava distrattamente il mento ispido.
- No - rispose istintivamente il ribelle - Voglio dire, non lo so - aggiunse poi subito correggendosi.
- Così non sei affatto di aiuto, Ethan. Sembra non ti interessi, o non voglia forse, sapere chi ti ha quasi ucciso - replicò Alexis asciutto.
- In effetti, scoprirlo adesso, che importanza potrebbe avere? - chiese l 'altro senza scomporsi.
Alexis rimase in silenzio, osservò per qualche istante il compagno, quasi come se non lo riconoscesse, poi, come se si fosse riscosso da un lungo sonno, parlò.
- Più che altro sarebbe interessante capire perché sei stato attaccato. E lo saprò solo dopo aver scovato il colpevole -
- Spero che riuscirete a trovarlo - sussurrò Chantal introducendosi con delicatezza nel discorso tra i due uomini - Non c'è modo di trovarlo con la magia? -
- Non c'è bisogno di ricorrere alla magia - rispose il biondo rapidamente - Sono in grado di rintracciarlo anche senza -
- Alexis, non serve, sto bene adesso - s'affrettò ad aggiungere Ethan nel tentativo di dissuadere l'amico dall'intraprendere la ricerca che si era prefisso. Ma l'uomo lo ignorò e facendo completamente finta di non averlo udito, si rivolse invece alla donna.
- Prenditi cura di lui, io ora devo andare - disse voltandosi e inforcando con passo svelto la porta.
- Tornerete? - domandò subito l'altra ma non fece in tempo ad ottenere risposta poiché l'uomo, completamente preso ormai dalla sua missione, s'era già smaterializzato - Speriamo non intraprenda nulla di pericoloso - soggiunse poi sospirando.
- Non preoccuparti - le rispose Ethan rassicurante - È in gamba, e sa quel che fa. Piuttosto a preoccuparsi dovranno essere coloro che se lo ritroveranno alle calcagna - rise, o almeno ci provò nel tentativo di drammatizzare ma quello che uscì fu soltanto una risata strozzata e priva d'allegria. Chantal lo capì e non disse nulla. Rimase in silenzio, seduta accanto al ribelle, con le mani strette a quelle di lui.

domenica 2 gennaio 2011

Mi sono accorta che è da luglio scorso che non aggiorno questo Blog. Di capitoli pronti dei vari racconti ne ho, e anche la voglia di scrivere (un po' meno il tempo) è a grandi linee tornata... per cui, tra oggi e domani posterò nuovamente qualcosa. Per chi mi segue, per chi mi seguirà, e spero sinceramente di acquisire qualche lettore nel tempo, lascio intanto il link all'altro video sul GDR Tower of Babel che avevo fatto, sempre a luglio. 






Nell'ordine il cast è composto da:

Vlad Doholov = Keanu Reeves (Costantine)
Alice (as Morgana) = Michelle Pfeiffer (Ladyhawke, Letà dell'Innocenza)
Yvel Marchard = Karl Urban (Chronicles of Riddik)
Moriarty = Rachel Weisz (The Fountain, Costantine)
Voldemort = Ralph Finnies (Harry Potter 5,6,7) 
Kate Hateway (Becoming jane, Ella Enchanted) 
Regolus = Cillian Murphy (28 giorni dopo, Sunshine, The Way We Live Now)
Musica usata come sottofondo = War dei Poets of the Falls
lunedì 5 luglio 2010
 
 
 
 

Questo è un Fanvideo tratto dal GDR -The Tower of Babel - ed è basato sui miei personaggi e i loro rispettivi compagni. Nell'ordine il cast è composto da:

Vlad Doholov = Keanu Reeves (Matrix 1-2-3)
Alice (as Morgana) = Michelle Pfeiffer (Ladyhawke)
Alexis Penko = Nicholas Roger (Fantaghirò 3-4)
Fucsia = Emily Rossum (The Phantom of Opera)
Yvel Marchard = Karl Urban (Chronicles of Riddik)
Chantal = Kate Keckinsale (Emma)
Raven (as Ethan Lockwood) = Matthew Macfadyen (Orgoglio e Pregiudizio)

Musica usata come sottofondo = Illusion and Dream dei Poets of the Falls

Stò lavorando a un secondo video, sono più o meno a metà, in cui saranno presenti altri personaggi, non miei ma delle ragazze con cui stò scrivendo The Tower of Babel! Non vedo l'ora di finirlo! ^_^


domenica 4 luglio 2010

 CAPITOLO IV


La donna stava riordinando il salotto, metteva a posto i libri e sprimacciava accuratamente i cuscini prima di risistemarli su poltrone e divani, quando, improvvisamente, bussarono alla porta. Tre colpi secchi, poi altri due in rapida sequenza. Morgana rimase immobile davanti alla soglia, indecisa se aprire o meno, ormai ogni pericolo era scampato ma era sola quella notte e se la persona al di là dell’uscio avesse avuto cattive intenzioni lei non avrebbe saputo come difendersi. Si appoggiò al battente e senza scostarlo chiese con voce ferma e decisa chi vi fosse dall’altra parte.
- Sono io – rispose una voce ansante al di là del legno spesso della porta – Sono Marchard –
Morgana attese qualche secondo con le mani premute in grembo. Conosceva l’uomo ma non era certa che farlo entrare sarebbe stata una buona idea. Le aveva risparmiato e in seguito salvato la vita, era vero, ma se ora fosse tornato ad essere malvagio e avesse deciso di portare a compimento ciò che non aveva fatto prima? Questo pensiero l’assalì e una morsa gelata le serrò lo stomaco bloccandola sul posto come fosse pietrificata.
La voce al di là della porta si era ridotta a un flebile sussurro, la donna tese l’orecchio ma le giunsero solo dei suoni indistinti. Seguì un tonfo sordo, come se qualcosa vi fosse caduto contro, e poi più nulla. Morgana si fece coraggio, deglutì il groppo che aveva in gola e scostò appena l’uscio, quel poco che bastava a permetterle di sbirciare oltre il battente. E quando vide l’uomo accasciato sulla soglia, ferito e privo di sensi, trasalì.
- Mr. Marchard… - lo chiamò piano chinandosi su di lui – Yvel, cosa vi è capitato? –
Lui non diede segno d’averla udita e rimase immobile ai suoi piedi. Morgana sospirò, si guardò intorno, poi si rimboccò le maniche e afferrato l’uomo, lo trascinò all’interno dell’abitazione. Non essendo molto forte ebbe difficoltà a sollevarlo e a metterlo sul canapè di fronte al camino, ma non demorse, e dopo svariati tentativi riuscì ad issarlo sopra il divanetto. Lo coprì alla bene meglio con il suo scialle di lana e dopo aver riempito una bacinella d’acqua fredda, gli deterse pian piano il volto sporco di fango e madido di sudore.  
La donna rimase a vegliarlo fino all’alba, gli curò le ferite con impacchi di aloe, calendula e agrimonia e poi lo fasciò accuratamente. Infine si sedette accanto a lui, un piccolo giaciglio ricavato gettando a terra un paio dei cuscini più grossi, in attesa che riprendesse conoscenza. Era decisa a rimanere sveglia, in modo da potergli essere accanto quando questi si fosse ripreso, ma la stanchezza era troppa e il sonno prese rapidamente il sopravvento sulla sua tenacia. Morgana s’addormentò accovacciata a terra, con il capo chino, appoggiato alle lunghe gambe dell’uomo e le braccia strette intorno al volto.
Quando il primo raggio di sole fece capolino nella stanza facendosi strada tra gli eleganti drappeggi di velluto cremisi, Yvel, finalmente si svegliò. Mosse piano la testa e la girò da una parte all’altra tentando di ricordarsi dove fosse e cosa fosse successo ma, nel farlo, il sole del primo mattino si posò dritto sui suoi occhi e lui fu costretto a strizzarli più volte perché l’improvvisa luce accecante del giorno gli procurò mille scintille di dolore pulsante dietro alle palpebre chiuse. Emise un grugnito di protesta e, con uno scatto, si tirò su a sedere e fu solo allora che s’avvide della donna che dormiva raggomitolata al suo capezzale. Riconobbe Morgana nella minuta figura femminile ai suoi piedi e studiandosi braccia e il torace s’accorse inoltre di esser stato curato e lavato. La cosa gli fece un effetto davvero strano; lei, nonostante tutto, lo aveva accolto, accudito e vegliato. A quel pensiero un nodo invisibile si legò strettamente attorno al suo stomaco, mentre il desiderio di toccarla lo sopraffece. Allungò una mano verso la testa della ragazza e le accarezzò con delicatezza i morbidi riccioli biondi. A quel contatto però, Morgana si mosse, inspirò a fondo e si svegliò a sua volta. Yvel ricacciò indietro la mano quasi si fosse ustionato e la donna, allarmata, s’alzò in piedi.
- Non avevo intenzione di farvi del male – rispose prontamente lui – Dormivate, devo avervi urtata per errore, non vi avevo notata… lì in basso… - mentì distogliendo appena lo sguardo.
- Mr Marchard, perdonatemi, mi sono appisolata mentre avrei dovuto restare sveglia accanto a voi -
L’uomo, sbigottito, sgranò gli occhi. Quella era l’ultima cosa che avrebbe mai immaginato di sentire.
- Morgana, vi siete presa cura di me, e questo è già molto – tagliò corto Yvel alzandosi - Vi ho arrecato abbastanza disturbo –
- Yvel siete ferito… - la donna si avvicinò a lui e lo trattenne prendendolo per mano. L’uomo socchiuse gli occhi, il tepore della pelle di lei gli procurò un brivido lungo la schiena. Si era ripromesso di non avvicinarsi a lei in nessun modo, eppure la notte precedente, quando credeva di non avere più molto da vivere, si era recato da lei per vederla un ultima volta, per morire con il volto di lei impresso negli occhi. Raven si era sbagliato dopotutto, il suo cuore non era affatto arido, era tornato ad amare. Tuttavia però si era innamorato della donna sbagliata per l’ennesima volta. Morgana apparteneva ad un altro, non poteva o non voleva ricambiare i suoi sentimenti. Sorrise tra sé, quella era una circostanza che aveva già vissuto. Con Elinor era accaduta la medesima cosa, fu amore non corrisposto anche in quel caso. Ma lui a quel tempo aveva gestito male la la situazione, non aveva capito e aveva preteso. Inoltre il rivale di allora era suo fratello e questo era bastato a non farlo ragionare correttamente. E poi Alexis l’aveva uccisa, in un modo o nell’altro, anche se materialmente non l’aveva spinta giù dalla finestra della sua stanza, lui aveva comunque contribuito in modo sostanziale alla morte della donna che aveva amato più di sé stesso. Ed ora Morgana. Gli bastò vederla una sola volta per perdere completamente la testa. E non fu tanto l’avvenenza fisica, evidente e prepotente, a colpirlo, ma il modo che lei aveva di porsi. Gli teneva testa, era forte e gli rispondeva a tono, oltraggiandolo e ferendolo anche. E poi aveva quello sguardo, così feroce e intenso, così puro e limpido. Un poco gli ricordava la sua Elinor, avevano gli occhi dello steso colore e anche il modo di arricciare le labbra quando era arrabbiata ero lo stesso. Dio, quanto avrebbe voluto girarsi e prenderla tra le braccia, ignorare il suo compagno e baciarla, finchè non gli fosse finito il fiato in gola. Ma non poteva, l’aveva promesso, l’aveva giurato.
- Lui sa che sono qui? – domandò infine, con voce strozzata.
- Lui non c’è – rispose lei piano – Potete restare, non vi è nulla di male nel prestare soccorso ad un uomo ferito che è venuto a chiedermi aiuto in virtù delle mie qualità di guaritrice - aggiunse poi lasciandogli la mano.
- Se dovesse tornare trovandomi qui, accanto a voi, mi ucciderebbe – replicò cercando di convincere più sè  stesso che la donna - O io ucciderei lui… - aggiunse in un sussurrò impercettibile che Morgana non udì.
- Non posso lasciarvi andare – osservò lei critica – Le vostre ferite non sono rimarginate, perdete ancora sangue, vedete? – aggiunse toccandogli la schiena – Se mio marito dovesse tornare e trovarvi qui, nella sua magione, sono sicura che comprenderà la gravità della situazione e i motivi per i quali vi ho fatto rimanere –
- Non capirà Morgana. Nonostante io vi abbia salvato e reso nuovamente a lui durante la sommossa, non mi perdona d’avervi portata via in precedenza e sottoposta a quelle torture di cui ancora portate i segni sulla vostra pelle –
- Nemmeno io vi perdono se è per questo – fu la risposta, secca e tagliente come una stilettata in pieno stomaco. Yvel si voltò verso di lei e incontrò quello sguardo di ardente furore che tanto amava. Non c’era compassione in quei grandi occhi verdi, ma solo rabbia e disappunto.
- Ma… mi avete curato… salvato… - balbettò l’uomo a corto di parole per l’imbarazzo.
- Solo per rendervi il favore – disse lei sbrigativa – Se vi avessi lasciato morire agonizzante sulla soglia di casa non me lo sarei mai perdonata –
- Morgana… - sussurrò Yvel guardandola negli occhi – Pensate davvero quello che mi avete appena detto? –
Era scioccato, non poteva credere alle sue orecchie. Eppure non vi era ragione per dubitare della sincerità della donna. Come aveva solo potuto lontanamente sperare che lei potesse provare qualcosa per lui, non amore ovviamente, ma anche solo semplice affetto? Dopo tutto quello che lui le aveva fatto passare, dopo quello che le aveva detto quando l’aveva tenuta legata mani e piedi in quella cella buia? Dopo gli incantesimi che le aveva lanciato e il male che le aveva fatto provare? Ma quando lei lo guardò con gli occhi asciutti e colmi d’odio, lui vacillò e tutto quello in cui aveva creduto fino ad allora andò in pezzi, come uno specchio cui fosse stato lanciato un sasso in pieno centro. Gli chiese di ucciderla, di farla finita, perché anche se le avesse lacerato le carni fino a ridurla un mucchio d’ossa, lei non avrebbe ceduto, non avrebbe pianto né avrebbe chiesto pietà. E non lo supplicò, glielo ordinò. Sempre con quello sguardo freddo e al contempo fiammeggiante e carico di violento furore. Fu quella sua natura impetuosa e passionale a farlo innamorare di lei, quel suo repentino passare dal gelido distacco al trasporto più dirompente a fargli perdere la testa. E la perse al punto che la liberò, in quella notte di maledetta follia, la prese e la portò via. Ma per quanto lo desiderasse non potè tenerla con sé, ma la riconsegnò all’altro uomo, a quello cui lei era stata destinata.
- Lo penso – rispose lei infine – Ma ciò non toglie che vi sono anche riconoscente per ciò che avete fatto dopo. Quello che non riesco a capire invece – aggiunse un po’ titubante – E perché lo avete fatto… -
Yvel, nuovamente rimase senza parole. Se avesse detto la verità si sarebbe messo a nudo e sarebbe stato costretto a rivelarle quello che provava per lei. Se invece avesse mentito, cosa sarebbe successo? Lei se ne sarebbe accorta? Attanagliato dal dubbio e lacerato dalla paura di allontanarla ulteriormente, optò per raccontarle una mezza verità solamente.
- Mi sono reso conto – disse piano – che stavo sbagliando. Non so bene come successe, ma la sofferenza che vidi attraversare i vostri occhi mi permise di fare luce nell’oscurità che da troppo tempo aveva albergato dentro di me –
- Yvel… voi non siete un uomo cattivo, perché mi avete strappata al mio uomo? Perché mi avete consegnata ai vostri compagni? Perché avete lasciato che mi torturassero e perché lo avete fatto voi stesso? – domandò la donna tutto d’un fiato.
Il Mangiamorte rimase in silenzio per l’ennesima volta. Cosa avrebbe dovuto rispondere adesso? Che aveva agito in preda alla gelosia? Che l’impulso di fare quel che poi realmente fece fu dettato solo ed esclusivamente dal risentimento e dal desiderio di rivalsa? Si, forse avrebbe dovuto ammetterlo, dirle chiaramente come stavano le cose… ma se la sentiva davvero di fare un simile passo?
- Morgana – iniziò lui in tono sommesso – Non è come dite, credetemi, ho commesso delitti riprovevoli, di cui mi vergogno, certo, ma che in ogni caso non mi rendono un uomo d’animo buono –
- Il semplice fatto di provare vergogna per le cose commesse, Yvel, vi rende migliore di quanto crediate  - replicò lei pacatamente, le mani giunte in grembo – Vi siete pentito di quello che mi avete fatto dunque? – chiese poi in un soffio.
L’uomo arretrò di un passo. A ogni domanda lei riusciva a metterlo in difficoltà. Di nuovo non sapeva cosa dire. Voleva forse che si svelasse? Lo stava punzecchiando apposta? Aveva capito, quindi, quello che lui realmente sentiva per lei? Tirò un profondo respirò e tentò, sebbene l’imbarazzo lo mettesse in seria difficoltà, ad articolare una risposta sensata.
- Ovvio che mi sono pentito – annuì – Il vostro sguardo… mi bastò guardare i vostri occhi per capire che stavo commettendo la più grossa sciocchezza mai fatta –
- Il mio sguardo? – ripetè la donna stupita – Cosa avrete mai visto nei miei occhi da indurvi a cambiare proposito tanto nettamente? –
Yvel emise un sospiro. Un’altra domanda insormontabile. Ancora.
- Sofferenza… martirio… dolore… ho visto questo nei vostri occhi. E, nonostante tutto, non avete mai pianto… –
- Lo avrete visto anche negli occhi di altre vittime – lo interruppe Morgana fissandolo attentamente – Non capisco cosa possa esserci stato di diverso… -
- Non fatemi altre domande – Yvel aveva alzato appena la voce, il tono reso acuto dalla frustrazione e dalla angoscia che il tenersi tutto per sé gli procurava – Per favore – aggiunse poi più conciliante.
La donna lo soppesò per qualche istante, c’era qualcosa di fortemente sbagliato, qualcosa che non era come doveva essere e l’atteggiamento che lui stava tenendo la irritava. Era tranquillo ma svicolava ogni cosa lei gli chiedesse, in qualche modo riusciva a dargli risposte insoddisfacenti e incomplete. Voleva capire, aveva diritto di sapere perché si era comportato a quel modo, perché l’avesse rapita e quasi uccisa per poi salvarla all’ultimo momento riportandola dal suo compagno.
- Io devo sapere – continuò lei rendendosi conto che non poteva tacere – Mi spiace se ciò che vi chiedo vi arreca fastidio, ma io devo sapere, Signor Marchard, se posso fidarmi di voi –
- Cosa intendete dire? – domandò stupefatto – Ora come ora non potrei farvi alcun male… -
- Non intendevo questo Yvel – disse lei addolcendo lo sguardo – Nei vostri occhi non c’è più quell’ombra scura che tanto mi terrorizzò a suo tempo, quando vi incontrai per la prima volta in quel negozio nel centro della città –
L’uomo arrossì, preso in contropiede. Poteva controllare i suoi gesti, il suo viso, ogni singolo muscolo, ma non i suoi occhi che erano lo specchio indissolubile e veritiero dei suoi sentimenti e delle sue reali emozioni. Non rispose tuttavia, ma rimase in silenzio, in attesa che lei aggiungesse altro. E si voltò per nascondere il violento rossore che gli imporporava le gote.
- Voi siete buono, e proprio in virtù di questo io non riesco a capacitarmi di ciò che avete fatto – spiegò – A me, ad altre persone… perché? Perché, se siete come io credo, avete agito in modo tanto brutale e sconsiderato? –
- Cosa volete che vi dica che già non vi ho detto? – domandò lui visibilemente scocciato.
- La verità Yvel – disse lei con calma – Perché non c’è spiegazione alcuna se non la pazzia latente –
- Non sono pazzo – sibilò girandosi di nuovo verso di lei – Non sono pazzo! – ribadì, il tono di voce alterato.
- E cosa devo credere allora Mr Marchard? Che vi avessero costretto? Ricattato? –
- No – rispose tagliando corto – Ho agito di mia spontanea volontà –
La donna socchiuse gli occhi, stanca e indispettita dalle continue mezze risposte che lui le dava. Ma questa volta non pose nessuna nuova domanda, si limitò a restare di fronte a lui, impassibile, gli occhi di nuovo aperti, grandi e verdi. Yvel la guardò a lungo, interdetto e indeciso su cosa dire.
- Tutto ciò che ho fatto, tutti i delitti che ho commesso, sono stati dettati dalla sete di vendetta – le disse infine, convintosi che forse, a quel punto, era diventato necessario sbottonarsi un poco – Sono diventato un Mangiamorte soprattutto in base a questo –
Morgana non proferì parola ma si limitò a fissarlo, nel volto il muto assenso a continuare.
- Mia madre morì quando avevo solo otto anni… fu uccisa sotto i miei occhi e spirò tra le mie braccia… -
- Oh mio Dio – esclamò la donna istintivamente – Sarà stato… voglio dire… io non… -
- Non dovete scusarvi – l’interruppe lui, sorrise ma i suoi occhi erano spenti. Rievocare certi ricordi gli procurava sempre una fitta al cuore - Non è una storia che amo raccontare sovente –
Morgana annuì, seppur con un certo disagio, e lo invitò a proseguire.
- Mia madre era una donna molto buona. Troppo. Aveva il dono della premonizione, e data la sua indole pura e gentile, l’usava per lo più per aiutare il prossimo. Ma la gente aveva paura di lei, le persone ignoranti e bigotte la temevano e l’additavano – spiegò – Lei però non se ne curava e nonostante tutto, li aiutava lo stesso –
- Yvel… - la fanciulla, intenerita, si era avvicinata all’uomo e gli aveva poggiato una mano sul braccio sperando che quel piccolo gesto gli desse conforto e l’incoraggiasse a continuare il suo racconto. Il contatto con la pelle calda di lei lo fece rabbrividire, sobbalzò appena, e dovette seriamente lottare con sé stesso per non allungare a sua volta la mano, afferrarla e stringerla. Si schiarì appena la voce e allontanandosi di qualche passo da lei riprese a parlare.
- Un giorno, un maledettissimo giorno – sottolineò – Mia madre ebbe la visione della morte per annegamento di tre bambini. Andò subito ad informarne i genitori in modo che potessero proteggerli e salvarli, questi però non le credettero. Anzi, le diedero della matta, la beffeggiarono e dileggiarono costringendola a fuggire – si interruppe, le labbra che tremavano a causa dell’intensità ricordo – Quando i corpi dei tre ragazzi vennero davvero trovati sulle rive del fiume la gente si convinse che ad ucciderli fosse stata lei. Avrebbe dovuto scappare, andarsene ma poiché era innocente decise di fronteggiarli a testa alta, ma la folla inferocita, anziché ascoltarla, la lapidò… sotto i miei occhi… e io, io non potei fare nulla. Tentai di proteggerla ma lei mi fece scudo con il suo corpo impedendomi in ogni modo di intervenire. Ma giurai vendetta contro quelle persone egoiste e stupide! Appena avessi potuto li avrei uccisi, uno ad uno… -
- Che razza di bestie! Prendere a sassate una madre e suo figlio! Non ci sono scusanti, nemmeno la supposizione di un presunto omicidio – commentò infine Morgana inorridita - Yvel, tu non hai nessuna colpa di quanto accaduto, lei ha agito come ogni madre avrebbe fatto. Ha protetto il suo bambino, sacrificando se stessa –
- Ma se ci fosse stato mio padre. Lui avrebbe potuto impedirlo –
Insieme ai ricordi era riaffiorata tutta la rabbia sopita. Una lacrima solitaria solcava il volto di Yvel, negli occhi era tornata quell’ombra scura che rendeva il suo sguardo freddo e crudele. Morgana però non si tirò indietro, sapeva che quell’apparizione era fugace e passeggera, dettata solo da un dolore mai mitigato e dalla riapertura di ferite mai cicatrizzate.
- Dov’era tuo padre? – chiese allora cauta provando ad avvicinarsi a lui.
- Con la madre di mio fratello, a spassarsela. Mentre la mia moriva – rispose e, nel nominare Alexis e tutto quello cui la sua figura era legata, una furia incontrollata gli esplose nel petto – Quel maledetto bastardo! Identico a quell’essere abbietto e spregevole che era nostro padre! –
- Perché dite così? Mr. Penko… è un uomo strano, un po’ troppo libertino forse, ma non è cattivo… -
- Non è cattivo? – le fece eco lui furioso, ormai del tutto fuori controllo – Ha ucciso la donna che amavo! Mi ha privato dell’unica cosa buona che era entrata nella mia vita! Capite, adesso, perché sono così? Perché non credo più in niente e ho abbandonato ogni valore? –
- Yvel, io vi comprendo – rispose la donna – Ma ciò che di brutto vi è capitato in passato, non vi legittima a far del male agli altri –
- No eh? – il tono dell’uomo era beffardo ed irritato al contempo. Cercava di mantenere la calma, ma gli stava riuscendo davvero difficile. Dopo tutto però non era con Morgana che avrebbe dovuto sbottare, anche se lei sembrava mettercela tutta per fargli perdere completamente la pazienza – Dei babbani bifolchi e ingrati hanno ucciso mia madre, senza pietà, senza fermarsi a riflettere un istante – aggiunse a denti stretti – Mio fratello, con la sua stupidità, ha tolto la vita ad Elinor, una frazione di secondo e lei non c’era più… ed io… dovrei essere io a trattenermi? –
- E il dare sfogo alla vostra bestialità, per tutti questi anni, vi ha fatto stare meglio? –
- Le prime volte si… - ammise – Poi, no… o meglio… con voi è cessato tutto –
- Perché? Cosa c’entro io? – insistè la donna
L’uomo non rispose, la guardò per qualche secondo poi sospirando fece qualche passo avanti, le passò oltre e le volse le spalle. Non parlò e si diresse verso il caminetto ormai spento e, preso l’attizzatoio, iniziò a rovistare tra le braci ardenti.
- Vi ho fatto una domanda… in realtà, ve l’ho fatta più volte ma voi avete sempre accuratamente evitato di rispondermi… - disse rivolgendosi alla schiena di lui, china sul fuoco. Ma Yvel non le rispose neppure questa volta. Taceva immerso nei suoi pensieri. Arrabbiato, confuso e frustrato non sapeva come affrontare la situazione e, se da un lato desiderava dirle che l’amava più di ogni altra cosa, dall’altro non voleva esporsi per nessun motivo. Lei non avrebbe capito ne tantomeno corrisposto i suoi sentimenti, e suo marito, se avesse saputo, se già non ne era a conoscenza ovviamente, lo avrebbe ucciso.
- Come volete Yvel – riprese infine Morgana – Dal vostro silenzio deduco che forse questa vostra fatidica redenzione è solo una grossa barzelletta. E poiché mi sento presa per i fondelli – aggiunse seccata – gradirei che ve ne andaste, subito -
- Non ho mai detto di essermi redento – puntualizzò lui voltandosi appena, il volto inclinato verso di lei, gli occhi chiari colmi di disperazione – Stanotte ho quasi ucciso Ethan Lockwood è l’ho fatto solo perché non sopportavo che lui, che anche lui, avesse trovato una donna da amare. Ethan, capite? – continuò ridacchiando, ma non c’era allegria nella sua voce, solo tanta, tantissima rabbia - Lui che non dovrebbe neppure posarli gli occhi su una donna dato che con quella sua fottutissima maledizione condanna a morte qualsiasi femmina provi, anche solo lontanamente, a stargli accanto. Ma lui, nonostante tutto se ne infischia. –
- Yvel… - Morgana era rimasta senza parole, immobile dietro di lui.
- Anche quello sconsiderato incosciente è riuscito a trovare uno straccio di donna disposta ad amarlo e a sacrificare tutto per lui, ed io, dannazione, io sono qui come un povero idiota a desiderare e sperare in un vostro sorriso –
La ragazza sgranò gli occhi, ora iniziava a comprendere cosa tormentava Yvel e la cosa la non le piaceva affatto. D’altronde però, era stata lei a portarlo fino a quel punto, a costringerlo ad aprirsi sotto il flusso incessante delle sue domande. Lei voleva capire, ma adesso non era più tanto sicura di voler andare davvero in fondo alla faccenda. Il percorso che aveva intrapreso si stava facendo troppo tortuoso, profondamente addentrato nei meandri oscuri dall’animo e del cuore dell’uomo. Sarebbe riuscita ad uscirne o ne sarebbe rimasta invischiata?  Si morse piano il labbro, indecisa se rispondere o meno all’ultima affermazione del giovane.
- Se è solo un sorriso che vi serve… forse posso accontentarvi… - buttò lì Morgana ridendo, il tono falsamente scherzoso malcelò il reale stato d’animo della donna, che era tutto fuorchè allegro e bendisposto. 
L’altro, che dalla battuta della fanciulla s’era sentito preso in giro e che fu, per lui, l’ultima goccia, gettò a terra l'attizzatoio e abbattè con veemenza i pugni chiusi contro il trave del caminetto – E il vostro cuore che mi serve! E’ il vostro corpo che desidero! Cosa accidenti pensate me ne faccia di un solo sorriso! Io vi amo, maledizione! – gridò, la voce spezzata dall’emozione forte che il rivelare le sue emozioni gli procurava - E’ per questo che vi ho salvata, ho preso coscienza dei miei sentimenti solo quando vi ho vista in fin di vita, e vi ho portata via – aggiunse tutto d’un fiato - Perché ero geloso, dannatamente geloso dell’uomo che vi stava accanto. Volevo avervi solo per me, in qualche modo, solo per me…  –
- Voi non sapete quello che state dicendo – rispose la donna composta e rigida. Non sapeva spiegarselo, ma anche se fosse stato vero, non riusciva ad ammettere che Yvel potesse essersi innamorato di lei. Indubbiamente era un uomo dall’aspetto estremamente gradevole, alto, molto più alto del suo compagno, atletico e ben piazzato. Aveva un viso bello, lineamenti aggraziati e labbra ben proporzionate, un naso sottile e dritto. I capelli scuri, leggermente lunghi, erano pettinati all’indietro e legati in una piccola coda con un laccetto di cuoio. Guardandolo nell’insieme, non poteva negare d’esserne attratta e di trovarlo affascinante e, in certo qual modo, sensuale, ma non poteva, e soprattutto non doveva, cedere al suo corteggiamento. In nessun modo.
- Io vi amo Morgana, vi amo – ripetè il mangiamorte, il tono implorante – Se voi vi deste a me, io vi renderei felice. L’avete detto voi stessa, sono un uomo buono in fondo… -
- Fatela finita e uscite di qui, non ho intenzione di ascoltare altri vaneggiamenti – replicò lei asciutta. Non aveva altra alternativa che mandarlo via.
Yvel si voltò e lei indietreggiò di qualche passo. 
- Vi supplico, ora che vi ho messo in mano il mio cuore, non mi respingete, non potrei sopportarlo. Sono venuto qui convinto di morire e speravo di poter vedere un ultima volta questi vostri splendidi occhi, di portarli con me e legarli nell’anima per sempre. Ma voi mi avete salvato ed ora io non posso più andar via senza sapervi mia –
- Yvel, vi rendete conto che state rivolgendo le vostre attenzioni ad una donna impegnata? Appartengo ad un altro uomo, e questo dovrebbe bastare a dissuadervi – disse più a sé stessa che a lui.
- Io l’ucciderò e vi porterò via con me, adesso – rispose l’altro carico ormai di una furia passionale incontrollabile. I suoi occhi erano lucidi ed era talmente esagitato per quanto provava da non riuscire più a moderarsi.
- Voi siete pazzo – Morgana tentò di indietreggiare ancora ma lui, rapido, l’afferrò per la vita e l’attirò a se, con forza.
- Pazzo. Pazzo di voi, dei vostri occhi – annuì quasi febbricitante mentre affondava una mano nei riccioli dorati di lei – Io vi amo Morgana, non esiste donna come voi, così calda, così indomabile. E io vi voglio, non posso lasciarvi a lui, non posso –
Lei provò slacciarsi dalla presa di lui ma questi la strinse più saldamente a sé, il corpo tornito e muscoloso dell’uno premuto contro quello minuto e formoso dell’altra. L’eccitazione di lui divenne prepotente e lei non potè ignorarla. Tentò ancora di divincolarsi ma per quanto fece non vi riuscì. E forse, in realtà, nemmeno lo voleva più di tanto. Non s’accorse neppure che la lotta che aveva intrapreso contro di lui stava scemando in qualcosa di molto diverso e che da quello che sarebbe successo di lì a poco non sarebbe più tornata indietro.
Yvel, completamente assorbito dal desiderio, le fece scivolare la mano destra dietro il collo mentre con la sinistra la teneva stretta a sé. Le sfiorò le labbra una volta, e poi ancora e ancora. Morgana inizialmente rimase immobile, negli occhi un misto di paura e desiderio represso, ma poi, quando lui tornò alla carica, lei rispose al bacio e questa volta con addosso una passione tale che Yvel si sentì travolgere al punto da perdere completamente il controllo. La donna che amava era tra le sue braccia e ricambiava completamente il suo slancio emotivo. Senza pensarci due volte, l’uomo la sollevò, la prese in braccio, con estrema gentilezza l’adagiò sul divanetto accanto al caminetto, e senza smettere di baciarla, prese posto accanto a lei.
- Yvel… - mormorò lei piano allontanandosi dalla bocca famelica di lui – Non posso… non dovremmo… -
 - Morgana, non temete, vi porterò via – insistè l’altro prendendole le mani tra le sue – Non posso smettere adesso, non posso dopo aver assaporato le vostre labbra, non più ormai –
- Dovete – l’intimò la donna tentando di rialzarsi – Lui sarà qui a momenti e… - ma prima che potesse finire la frase Yvel l’interruppe e, afferratala per un braccio, l’attirò verso di sé, nuovamente. La costrinse a risedersi e a guardarlo negli occhi, le mani appoggiate sul viso di lei.
- Io vi amo – ripetè – e dopo quanto è successo non ho affatto intenzione di rinunciare a voi, per nulla al mondo. E non sarà certo l’uomo che vi ospita in questa casa a fermarmi –
- Quell’uomo è mio marito… - obbiettò lei – Vi ucciderà –
- No, non lo è, non vi ha mai sposata. Vi tiene qui come compagna, ma non è vostro marito – la corresse – E voi non l’amate –
Morgana aprì la bocca per ribattere ma la richiuse subito dopo, conscia della veridicità delle parole che Yvel aveva appena pronunciato. Era vero, non l’amava, altrimenti non sarebbe mai scivolata nelle braccia di un altro.
- Fidatevi di me, e vi giuro che entro questa sera lui sarà solo un ricordo – continuò rinsaldando la presa sul viso di lei – Vi porterò lontano, vi sposerò e vivremo felici –
- Mr Marchard… - la voce di Morgana era quasi inudibile, spezzata dalle lacrime incipienti dietro alle ciglia scure – Sapete bene quanto me che quello che dite è impossibile – la donna tentò nuovamente di sottrarsi alla presa di Yvel, ma lui la trattenne.
- Mi amate? – le chiese lui d’improvviso, gli occhi fissi in quelli di lei, in attesa. Morgana però esitò. Non aveva chiari i suoi sentimenti e, ancora, non era in grado di discernere correttamente se quello che sentiva per lui era realmente amore o solo una semplice attrazione fisica. Tacque quindi non sapendo cosa dire. Ma l’uomo, accanito, esigeva una risposta.
– Rispondetemi – le ingiunse lui guardandola con maggiore intensità – Io devo sapere cosa provate per me Morgana, non potete rimanervene semplicemente in silenzio… -
La donna deglutì, inspirò a fondo e socchiuse gli occhi. Cercò, con quei piccoli gesti di infondersi un poco di coraggio.
- Non lo so – ammise infine – Mi piacete molto, questo non posso negarlo. E forse questo mio interesse verso di voi è nato, inconsciamente, proprio quando vi ho conosciuto… mi affascinate e, credo che se doveste baciarmi di nuovo io… io non sarò in grado di respingervi… -
- Allora non lo fate – disse lui avvicinandosi maggiormente a lei, fronte contro fronte. Mentre la baciava con trasporto, lasciò vagare la mano sull’ampia gonna, senza mai toccarla veramente, per poi risalire piano la curva dei fianchi e, successivamente, quella più rotonda dei seni, candidi e generosi. Raggiunte le spalle, le solleticò la base del collo, e poi giù sulla schiena fino a che le sue dita non trovarono i lacci del corpetto. Ne tirò uno, lentamente, poi l’altro finchè non li allentò quel tanto che bastava a farle scorrere l’indice lungo la spina dorsale. Un brivido incontrollato percorse Morgana da capo a piedi. Iniziò a tremare e Yvel la strinse più forte, le labbra premute contro quelle di lei. Morgana soffocò un gemito e timidamente ricambiò le carezze dell’uomo. Fece scorrere le mani sul petto di lui e quando le dita si fermarono sulle cicatrici che aveva sul fianco e sul collo, sobbalzò.
- Ferite di battaglia – le spiegò in un sussurro – E’ stato mio fratello, anni fa… -
Lei si protese verso di lui, e abbandonata ogni riserva, si chinò sulla cicatrice più alta e la baciò dolcemente. L’altro, in risposta, buttò indietro il capo, e, incapace ormai di controllarsi, sospirò di piacere. L’afferrò poi per le spalle, e, con tutto l’ardore che la situazione aveva acceso in lui, Yvel, la spinse indietro e in un attimo fu sopra di lei.
- Io non… - mormorò la donna ma Lui la zittì prontamente con un ulteriore bacio.
- Se non lo volete, ditemelo, e io mi fermerò – aggiunse poi rassicurandola – In caso contrario, però, sappiate che se deciderete di darvi a me, anima e corpo, sarà per sempre. E non potrete più tornare indietro, né adesso né mai –
Lei lo guardò, occhi negli occhi, restia a dargli subito una risposta, ma le bastò indugiare un secondo di più su quello sguardo ansioso e innamorato per comprendere realmente quello che sarebbe stato giusto fare e dire.
- Non lo farò – rispose lei, sicura per la prima volta delle sue parole e delle sue azioni. Non era solo il compiacimento che la vicinanza di Yvel le procurava a renderla risoluta e salda nelle sue posizioni, ma qualcosa di più profondo, un piccolo fiore nuovo che sbocciava lentamente dentro al suo cuore. Sapeva che quello che lui aveva detto era vero: una volta oltrepassata la sottile linea rossa che la divideva da lui, tutto sarebbe cambiato, definitivamente.


CAPITOLO III

I pesanti drappeggi gialli della stanza in cui Raven giaceva erano stati tirati e sistemati in modo che la luce filtrasse e illuminasse interamente la stanza. L’uomo sembrava non voler dare ancora segni di miglioramento e Alexis, che in quell’ultima settimana si era alternato a Chantal nella veglia dell’amico, sonnecchiava accanto a lui. La donna era rimasta al capezzale dell’uomo fino all’alba e Alexis, tornato solo all’ora da una spedizione atta a raccogliere informazioni su quanto era successo a Raven, le aveva dato il cambio per permetterle di riposare almeno un poco. Chantal ovviamente aveva obbiettato ma lui l’aveva spedita a letto senza troppi complimenti, se non ci fosse andata con le buone, ce l’avrebbe mandata con la magia. Doveva riposare, se si fosse ammalata a sua volta non sarebbe stato utile, senza contare poi che Raven se la sarebbe certamente presa con lui. Nonostante tutto però anche lui era molto stanco. Aveva vagato in lungo e in largo ma le sue ricerche non avevano dato frutti, nessuno sapeva nulla e sembrava che tutti ignorassero l’accaduto, eppure qualcuno aveva indirizzato Raven verso il bosco… ma chi era stato? Aveva inoltre saputo che suo fratello mancava da casa da una decina di giorni ma la cosa non lo preoccupava più di tanto, ormai era abituato alle pazzie e alle stranezze di Yvel e per lui che ci fosse o meno non faceva differenza.
Immerso in questi pensieri da cui cercava di cavare un filo logico degli avvenimenti, Alexis cadde in un torpore profondo mentre le sue membra, stanche e provate da giorni e giorni perlustrazioni, si abbandonarono rapidamente al sonno.
Fu proprio mentre lui dormiva che Raven si svegliò.
Aprì piano gli occhi, la testa gli doleva terribilmente e quando provò a mettersi seduto fu perforato da un bruciore tanto lancinante da doversi stendere nuovamente per alleviarlo. Rassegnato alla posizione supina, l’uomo si guardò intorno. Sul momento, frastornato com’era, non riconobbe la camera in cui si trovava e fu solo la presenza di Alexis, appisolato sul canapè a pochi passi da lui, a permettergli di ricostruire quanto stava succedendo. I suoi ricordi si focalizzarono subito su Chantal e preso dal panico si tirò su di scatto provocandosi una fitta di dolore talmente forte da non riuscire a trattenere il grido strozzato che ne seguì.
- Ouch! – gemette tentando di alzarsi in piedi – Maledizione quanto fa male! –
Alexis, richiamato dal mondo dei sogni dai mugugni sconnessi dell’amico, si destò di scatto, e quando lo vide arrancare accanto alla sponda del letto come un mulo moribondo, si slanciò verso di lui per sorreggerlo ed impedirgli di andare oltre.
- Dove diamine credi di andare? – domandò irritato – Sei impazzito o cosa? –
- Chantal è in pericolo, lasciami – bofonchiò cercando di liberarsi dalla presa dell’altro – Devo andare da lei –
Per tutta risposta Alexis rise - A parte che conciato così saresti utile quanto un calcio negli stinchi – disse – In ogni caso Chantal è di sopra, al sicuro –
- E’ di sopra? – ripetè stupidamente Raven voltandosi a guardare il compagno – Ma no, non è possibile… -
- Lo è, ed ora torna a letto. Un altro passo e stramazzerai al suolo – lo reguardì sospingendolo indietro, verso i cuscini – Io intanto vado ad avvisarla che hai ripreso conoscienza –
- No, se sta dormendo non voglio che la svegli… – replicò l’altro tornando a stendersi
- Credimi, sarà peggio se non lo faccio – e così dicendo Alexis si incamminò verso i piani superiori.


****
 La giovane donna aveva faticato a prendere sonno, il pensiero del suo amato ferito e svenuto, e tutte le informazioni che Alexis le aveva fornito, l'avevano travolta come un mare in tempesta. Allo stesso tempo però si sentiva animata dalla fiamma della speranza. Con queste idee chiuse gli occhi sperando di riposare e ben presto, senza che lei se ne rendesse conto, il sonno sopraggiunse, improvviso e silenzioso come un grosso felino.
- Chantal… - in lontananza si udì l’eco di una flebile voce - Sono qui… -
- Chi mi chiama?- domandò la moretta vagando nel buio totale - Non ti vedo! Chi sei! – gridò, il tono di voce quasi isterico. Si guardò intorno, mentre la voce incalzante continuava ad invocare il suo nome.
- Chantal… - ripetè, ma la donna, nonostante si voltasse da parte a parte per riuscire a comprendere da dove potesse giungere la voce, e quindi raggiungerla, non riusciva ad orientarsi. L’alone buio che la circondava era troppo fitto perché si potesse muovere e seguire una direzione.
- Possibile che tu non mi riconosca? - domandò la voce – Pensa, e riuscirai a capire chi sono - aggiunse mentre nel velo tenebroso si propagava l’eco di una risata fanciullesca.
- Cosa succede? Che stregoneria è questa – domandò Chantal ormai nel panico - Chi sei! -
- Guarda dentro di te, scruta nel tuo cuore, apri la tua mente, liberati delle tue spoglie materiali - rispose la voce  -  Chiudi gli occhi e mi vedrai  –
La donna, terrorizzata, obbedì al comando e, a pochi passi da lei, apparve una sagoma sfuocata che prendeva forma mano a mano che si avvicinava. Chantal attratta dai bagliori azzurri che la misteriosa figura emanava, aprì gli occhi e vide una bambina con un grazioso vestitino arancione e lunghi capelli castani sorriderle dolcemente.
- Tu... - le parole le morirono in gola, non riusciva a finire la frase, qualcosa la bloccava. Fu la bambina quindi a completare il suo pensiero - Io vivo dentro di te. Sono quella parte che hai tenuto per così tanti anni nascosta agli occhi del mondo. Io e te, Chantal, siamo una cosa sola - disse indicando con il ditino il cuore della ragazza che, attonita, faticava a capire tutto quello che stava accadendo. 
- Devi stare attenta - incalzò la bambina - Segui sempre il tuo cuore, lui conosce la strada. Anche nei momenti più difficili, tieni duro - aggiunse prima iniziare a svanire.
- No! Aspetta, non andartene! - esclamò la ragazza cercando di afferrare sè stessa bambina – Cosa vuoi dire, cosa significa? -
- Io sarò sempre con te - aggiunse prima di svanire inghiottita dalle tenebre. Nuovamente il terrore e la sensazione di paura le invasero la mente, annebbiandola, e la donna prese correre alla cieca nel buio.
- Raven aiutami ti prego - pensò intensamente mentre le sue gambe affaticate cedevano sotto il peso del terrore e dell’ansia. Improvvisamente il pavimento sotto ai suoi piedi iniziò a tremare e la donna rovinò al suolo. A fatica, sempre più spaventata, si rialzò riprendendo a correre, ma quando questo crollò e la inghiottì completamente, Chantal precipitò nel vuoto. Gridò con quanto fiato che aveva in gola, fino a quando con un tonfo sordo toccò il pavimento.
Un dolore lancinante alla testa la costrinse a strisciare vicino a quella che a prima vista sembrava una porta damascata rossa. Incuriosita Chantal l’aprì. Al suo interno una tenue luce illuminava una stanza, al centro della quale era posizionato un enorme specchio. In passato doveva essere stato un bellissimo ornamento, pensò Chantal, dati gli intagli, le gemme preziose e le raffigurazioni raffinate che facevano capolino tra le incrostazioni di sporco e lordura. La cosa che la incuriosiva, però,non era tanto lo stato dell’oggetto quanto la strana figura riflessa dall’altro lato dello specchio … una donna alta come lei, ma con i capelli lunghi e corvini e gli occhi profondi e neri, che le sorrideva maligna. Un brivido freddo le percorse tutto il corpo facendole accapponare la pelle. La figura non parlava, sorrideva mentre gli occhi scintillavano di pazzia e le sue mani la invitavano a seguirla; come attirata da una forza oscura, Chantal si avvicinò fino a toccare il freddo specchio, di riflesso l’altra allungò la mano verso la superficie liscia e, afferrata la giovane per il polso, la tirò all’interno dello specchio. La situazione si era capovolta, lei si trovava imprigionata all’interno dello specchio mentre l’altra donna, ora dall’altra parte della stanza, rideva soddisfatta.
- Sciocca! - esclamò la donna. La giovane batteva contro lo specchio cercando di uscire muovendo le labbra in un muta richiesta di aiuto.
- E’ inutile che gridi, non ti sentirà nessuno! Nessuno correrà in tuo aiuto, sei sola e mia prigioniera. Vuoi sapere chi sono? Bene! Ti accontento subito, io sono te, la tua parte oscura. Sono il lato più malvagio e perverso che alberga nel tuo cuore, quella parte che hai sempre imprigionato dietro la tua finta maschera di buonismo, e falso sentimentalismo. Finalmente potrò prendermi la mia vendetta, adesso tocca a me emergere e camminare nel mondo, mentre tu invece marcirai qui - disse la sua controparte malvagia - Mi prenderò tutto quello a cui tieni, cominciando proprio dall’uomo che ami! - esclamò mentre dal nulla apparve Raven. La Chantal cattiva si avvicinò all’uomo con fare suadente e malizioso, gli girò intorno prima di baciarlo con ardore. Chantal imprigionata assistette impotente alla scena, mentre calde lacrime le solcavano il viso, inutili erano le sue urla, i due amanti non potevano udirla. Sentì il suo cuore lacerarsi in petto e un dolore pulsante alla testa. L’ appoggiò esausta contro la sua prigione di vetro piangendo per quella sua nuova condizione di reclusa da cui non sapeva come tirarsi fuori, quando un urlo attirò la sua attenzione; Raven, in ginocchio, stava contorcendosi dal dolore, mentre la sua alterego malvagia osservava divertita la scena. In pochi secondi l’uomo che amava si accasciò a terra privo di vita e Chantal, distrutta dalla scena che le si era parata davanti, in un impeto di totale disperazione si slanciò con forza contro lo specchio, distruggendolo. Senza badare a quello che era appena accaduto, la giovane urlò mentre i frammenti di vetro le si conficcavano nelle carni uccidendola.
Il dolore acuto provocato dalle schegge la fece svegliare di soprassalto, e mentre, per riflesso si tirava su a sedere, gli ancora chiusi dal sonno, gridava il nome del suo amato.

Alexis stava percorrendo il corridoio del secondo piano proprio in quel momento, e udendo gli strilli, sguainò la bacchetta e si precipitò nella camera della donna. Spalancò con forza la porta, si guardò intorno ma nella stanza non c’era nessuno a parte una Chantal atterrita e sgomenta.
- Cosa è successo? – le chiese senza riporre nel fodero la bacchetta, lo sguardo vigile e attento.
- Credo d’aver avuto un incubo – rispose la giovane – Io… è stato orribile… - aggiunse portandosi le ginocchia al petto.
- Sicura che fosse solo un brutto sogno? – insistè Alexis preoccupato.
- Si lo sono – sospirò – Anche se avrei preferito non farlo –
A quelle parole l’uomo si rilassò e mise via la bacchetta – Forza scendiamo – l’intimò accennando alla porta aperta – Raven si è svegliato –
Senza farselo ripetere due volte Chantal si alzò, si avvolse nello scialle di lana. Era agitata al pensiero di vederlo e di parlargli, inquieta a causa del sogno appena fatto, felice di sapere che si era ripreso e spaventata dall’immensità del peso che da lì a poco si sarebbe dovuta caricare sulle spalle.

 CAPITOLO II

La notte era calata rapidamente sul vecchio maniero dei Loockwood, e se non fosse stato per la luce accesa in una delle stanze dei piani superiori, sarebbe potuto tranquillamente sembrare del tutto abbandonato. Una donna avvolta in uno scialle di lana uscì sulla balconata che, imponente, correva lungo tutta la facciata della villa. Aveva i capelli scuri, sciolti e sparsi sulle spalle, lo sguardo triste perso nel vuoto.
-  Non temere – esordì una voce maschile alle sue spalle – Si riprenderà –
La giovane donna sospirò pensierosa - Non riesco a crederci… - disse portandosi una mano alla bocca, i suoi profondi occhi scuri erano lucidi di pianto, bagnati da calde lacrime salate e la sua voce rotta dal magone a lungo trattenuto. Non poteva piangere dinnanzi all'uomo che amava; doveva dimostrarsi forte in quel momento, però non le stava per niente riuscendo bene. Ogni volta che chiudeva gli occhi vedeva il suo amato svenuto, sporco di sangue, chissà quali atroci tornture doveva aver sopportato. Silenziosamente iniziò a piangere.
- Piangere non serve a nulla. Non lo aiuterà di certo a guarire – l’uomo che aveva parlato poco prima raggiunse la ragazza uscendo a sua volta sulla terrazza – E ora vieni dentro, non voglio che ti raffreddi . Inoltre potrebbe essere pericoloso… - aggiunse infine appoggiandole una mano sul braccio per sollecitarla a seguirlo.
Chantal annuì stringendosi nello scialle e seguì l'uomo all'interno della casa.

La stanza era piuttosto ampia ma nonostante fosse arredata in modo elegante, l’insieme appariva frusto e vecchio a causa dell’incuria e della polvere. Alexis fece accomodare Chantal su una vecchia poltrona, il velluto giallo era sbiadito e logorato in più punti, ma l’uomo non ci fece caso e la invitò lo stesso a prendervi posto.
- Asciugati quelle lacrime – le disse poi porgendole un fazzoletto – Se si sveglia e ti vede in quel modo, sarà peggio di quello che ha subito per venirti a salvare –
- Hai ragione, scusami - rispose la ragazza passandosi il dorso della piccola mano sulle guance umide - Tra quanto si sveglierà? - domandò ansiosa.
- Non lo so – ammise l’altro grattandosi il mento irsuto, la lunga treccia bionda oscillò mentre si girava per osservare lo stato dell’amico privo di sensi – Ha riportato ferite di entità piuttosto seria, ci vorrà ancora del tempo suppongo… -
- Capisco - sussurrò la moretta - Alexis tu consoci bene Raven non è vero? - domandò riportando l'attenzione sul giovane uomo davanti a lei - Ti prego parlami di lui -
- Cosa vuoi che ti dica? - le domandò senza guardarla, il tono noncurante.
- Tutto - disse prendendo la mano di Raven. Non sapeva niente dell'uomo che ferito giaceva in quel letto, il volto coperto ancora dalla maschera. Non conosceva il suo passato eppure il suo cuore batteva forte ogni volta che lui la sfiorava; le gambe le tremavano quando le parlava con quella voce così calda e rassicurante.
Nel petto sentì qualcosa rompersi irrimediabilmente quando lo vide sdraiato sul quel giaciglio, immobile e privo di sensi. Aveva creduto di averlo perso per sempre e mentre si dimenava come impazzita tra le braccia di Alexis che cercava di trattenerla, la sua stessa voce le giungeva ovattata. Piangendo, Chantal, invocava il nome di quell’uomo misterioso di cui non conosceva il volto ma per il quale provava un affetto profondo. Nel trovarlo in quello stato il mondo le era caduto addosso, il suo sogno si era trasformato in un incubo spaventoso, e fu solo in quel momento, che comprese di amarlo, mentre nel suo cuore si faceva largo l'esigenza di conoscerlo meglio, per riuscire a stargli accanto senza metterlo in pericolo.
- Raccontami la sua storia - concluse quindi la giovane continuando ad accarezzare la mano del ribelle
Alexis si voltò verso di lei, pensieroso – Lo ami? – le domandò a bruciapelo – Bada che dalla tua risposta possono cambiare molte cose… -
- Sì – sussurrò sicura prendendo la mano di Raven tra le sue - Quando l'hanno portato qui, privo di sensi, mi sono sentita morire dentro. Credo di averlo sempre amato, ma l'idea di perderlo mi ha aperto gli occhi su questo sentimento. Non appartengo al vostro mondo, è vero, non sono una strega  - esclamò mantenedo gli occhi bassi - Sono solo una semplice ragazzina che lavora in una caffetteria di Londra per pagarsi gli studi all'università. Da quando sono arrivata a Babele, non ho fatto altro che creare problemi a tutti voi. Io credo... - balbettò con voce insicura - Io non posso pretendere che Raven provi qualcosa per me... lo spero però - lasciò la frase in sospeso mentre una sensazione di oppressione la invadeva.
- Lui prova per te la stessa cosa - rispose senza preamboli - E questo vi condannerà entrambi –
Chantal riportò l'attenzione su Alexis - Perchè dici questo, come può un sentimento così bello e puro come l'amore, condannarci? - chiese stupita.
- Può invece - replicò asciutto, lo sguardo fisso sull'amico - Perchè lui è maledetto, ogni membro maschile della sua famiglia lo è. Non può amare, non deve essere amato o vedrà morire la propria donna entro l'anno - si girò verso di lei, gli occhi ridotti a due fessure - Ecco perchè indossa la maschera, per impedire che il sentimento possa associarsi a lui, al suo volto. E Raven, tra l'altro, non è neppure il suo vero nome - strinse i pungni, lo sguardo sottolineava quanto la cosa lo facesse stare male - Io l'avevo pur avvertito, l'avevo avvisato che simili precauzioni non sarebbero servite a nulla –
Tutte quelle informazioni avevano confuso Chantal che si ritrovò a guardare sbigottita il suo interlocutore.
- Perché te la prendi tanto? Non capisco cosa può venirne a te di quello che lui, o io, facciamo… - chiese perplessa
Alexis storse la bocca in quello che sarebbe dovuto essere un sorriso.
- Amicizia, ecco cosa – rispose – Un sentimento forte quanto l’amore, e nel suo caso molto meno pericoloso -
- No, non è vero – replicò convinta – Anche se non so qual è il suo vero nome, se c'è una cosa che ho imparato da quando sono qui, è che le maledizioni si possono spezzare. La magia non è come la morte, a cui non c'è rimedio, ogni problema ha una soluzione. Ci deve essere una soluzione! - esclamò accigliata. La notizia l'aveva sconvolta, ma non temeva per la sua vita ora, ma per quella del ribelle.
Alexis si voltò verso la donna, sul volto uno sguardo ironico e beffardo che lasciava ben poco all’immaginazione.
- Le maledizioni non si possono spezzare – obbiettò – Non tutte, non questa. Quello che c’è di vero Chantal, è che da quando sei qui non hai mai guardato oltre il tuo naso! Ogni donna che ha amato un Lockwood è morta. Hanno avuto il tempo di mettere al mondo degli eredi, sempre maschi. La discendenza è andata avanti così, per secoli. E cosa credi? – l’uomo era visibilmente alterato, le parole gli uscivano di bocca come un fiume in piena e nonostante il buonsenso gli dicesse di non esagerare, lui non poteva e non riusciva a trattenersi – Arrivi tu e tutto finisce? No, non è così che funziona mia cara. Non in questo mondo. E nemmeno nel tuo suppongo… –
Chantal ascoltò in silenzio le parole ciniche e pungenti dell'uomo - Forse hai ragione tu; io non conosco le regole della magia e le sue sfumature, ma di una cosa sono sicura, non lascerò niente di intentato - continuò guardando il suo interlocutore con aria di sfida - Farò qualsiasi cosa per Raven, anche se questo comprendesse sacrificare la mia vita –
L’uomo rimase in silenzio, osservò per qualche istante la ragazza, poi si sedette a sua volta.
- E il fatto che nell’agire tu muoia è una cosa di poco conto, non è vero? – commentò sarcastico accavallando le lunghe gambe – Se vuoi davvero condannarlo, Chantal, hai trovato il modo – disse acido – Ma poiché suppongo che non sia così, ti consiglio di evitare di fare sciocchezze o di prendere iniziative di qualsiasi tipo. Se ti succedesse qualcosa lui ne morirebbe, e non è questo che vogliamo giusto? -
La moretta scosse la testa - Io voglio solo trovare il modo di spezzare questo supplizio a cui è legato. Voglio che sia libero di amare... voglio poterlo amare, completamente… - sussurrò accarezzando la sua maschera con dolcezza e delicatezza - Alexis voi siete l'unico che potete aiutarci – aggiunse la giovane Raven si fida di voi, siete un grande mago, potete aiutarci. Farò tutto quello che mi direte - concluse animata da una nuova speranza.
Per la prima volta il mangiamorte sorrise, ma non c’era allegria nei suoi occhi chiari – Non sono un grande mago Chantal – rispose abbassando lo sguardo – Se lo fossi stato lei non sarebbe morta, sarei riuscito a salvarla. So che Raven si fida di me, è stato l’unico a starmi accanto dopo la morte di Elinor, l’unico a credere in me. Certo, vi aiuterò, ma non posso prometterti nulla –
- Per me questo significa molto - disse la ragazza posando una piccola mano bianca sul braccio del biondo mangiamorte - Grazie di cuore –